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Il gesso costituisce il modello a grandezza reale della fusione in bronzo di uno dei due “Cervi” realizzati nel 1939 per l’allora principale ingresso portuale di Rodi, lo storico Mandraki, piccolo porto militare della città antica. Fitto è il mistero sulla commissione a Brozzi della coppia di Cervi.
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Ricordata per primo da Marco Valsecchi (Milano, 1913–ivi, 1980) nella presentazione del volumetto "Museo Renato Brozzi", dato alle stampe nel 1975 in occasione dell’inaugurazione del Museo dedicato all’artista dall’Amministrazione comunale di Traversetolo, non ha trovato fino ad ora alcun riscontro documentale. Probabilmente, come accaduto per altre opere realizzate durante il Ventennio e commissionate da personaggi di sicura fede fascista, fu l’artista stesso a distruggere le carte che potevano collegarlo a committenze divenute imbarazzanti con la caduta del regime. Non avendo a diposizione documenti che possano definitivamente dissipare le ombre che ancora gravano sulla vicenda, possiamo tuttavia avanzare un’ipotesi. Alla fine del 1936 veniva nominato un nuovo governatore di Rodi, assegnata all’Italia nel 1924 con l’entrata in vigore del trattato di Losanna che sanciva la definitiva sovranità sul Possedimento delle Isole italiane dell’Egeo. Mario Lago, un diplomatico di estrazione liberal-giolittiana, che aveva introdotto un regime più paternalistico che autoritario, e ritenuto per questo troppo morbido, veniva sostituito da uno dei massimi gerarchi del regime, il quadrumviro della marcia su Roma Cesare Maria De Vecchi conte di Val Cismon, che si presentò in Egeo come colui che era chiamato a realizzare una fusione sempre più stretta fra Possedimento e Italia. De Vecchi, divenuto ministro dell’Educazione Nazionale nel gennaio 1935, apparteneva a una famiglia della buona borghesia piemontese orgogliosamente ligia alle tradizioni patriottiche e dinastiche. Appassionato cultore di storia sabauda, abituato ai radicali restauri dei castelli del vecchio Piemonte, si mise subito al lavoro per ricostruire ex novo il Castello dei Cavalieri di Rodi, dei quali, in quanto difensori del Mediterraneo, il fascismo si reputava diretto erede, affinché fosse pronto, nel giro di tre anni, ad ospitare il re e il duce, in onore dei quali l’impresa era stata concepita. Per la decorazione ad affresco delle sale fu reclutato il pittore Pietro Gaudenzi (Genova, 1880–Anticoli Corrado, 1955), buon amico di Renato Brozzi e di Amedeo Bocchi, che fra il 1915-1916 lo ritrasse nel pannello della parete occidentale della Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma, fra i personaggi che contribuiscono al gran fiume del risparmio collettivo portando i loro piccoli tesori individuali. Forse proprio per il tramite di Gaudenzi, che il 26 febbraio 1938 stipulava con il “Governatorato delle Isole Italiane dell’Egeo” il contratto per la realizzazione degli affreschi rodioti (sale del Castello e abside della chiesa di San Francesco, l’unica cattolica dell’isola), giunse a Brozzi la commissione dei due “Cervi”, mitici animali che le leggende locali sostengono aver liberato l’isola da un’invasione di serpenti, da collocarsi all’ingresso dell’antico approdo portuale, su due colonne che fungono loro da supporto. Esattamente là dove, secondo le antiche credenze, sorgeva l’enorme statua del Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo classico, crollata a seguito di un terremoto nel 226 a.C. Né va dimenticato che era stato proprio Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, in qualità di ministro dell’Educazione Nazionale, ad affidare all’artista traversetolese il complesso restauro del Tesoro di Marengo, portato a termine nel febbraio-marzo 1936 con piena soddisfazione dell’importante committente. Con lo scoppio della guerra, la fine del regime, la sconfitta dell’Italia e la perdita del dominio delle isole del Dodecaneso, passate definitivamente alla Grecia dopo una occupazione militare prima germanica (settembre 1943-maggio 1945) e poi britannica (maggio1945-febbraio 1947), anche i simboli e le immagini della parentesi italiana finirono nel baratro della "damnatio memoriae": rimosse, cancellate come i loro autori. Eppure, non invisibili, come testimonia la coppia di “Cervi” all’ingresso del porto Mandraki, divenuta nel tempo uno dei simboli rodioti più conosciuti.
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*Cerva del Porto di Rodi / Renato Brozzi. - Esecuzione [1939]. - 1 scultura : gesso ; h. 165 x 150 cm ; basamento h. 8 x 139,5 x 41,5 cm. ((Il gesso costituisce il modello a grandezza reale della fusione in bronzo di uno dei due “Cervi” realizzati nel 1939 per l’allora principale ingresso portuale di Rodi, lo storico Mandraki, piccolo porto militare della città antica, commissione ricordata per primo da Marco Valsecchi (Milano, 1913–ivi, 1980) nella presentazione del volumetto "Museo Renato Brozzi", dato alle stampe nel 1975 in occasione dell’inaugurazione del primo Museo dedicato all’artista dall’Amministrazione comunale di Traversetolo, all'ultimo piano del palazzo municipale nei locali già offerti in uso all'anziano artista e alla sorella Graziella fino alla morte. - Nella stessa occasione dal gesso fu ricavata una fusione in bronzo, attualmente esposta nel giardino della Corte Civica.